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Autoritratto di Giorgia Carena
A cosa pensi se leggi la parola Autoritratto?
A cosa pensi se leggi la parola Autoritratto?
Prova a chiudere gli occhi fino a quando la tua mente riesce a creare un’immagine.
Ho fatto molte volte questo esperimento e la prima cosa a cui pensai, molti anni fa, fu il tempio di Apollo a Delfi. Alzando gli occhi sulla facciata leggiamo «conosci te stesso» (in greco antico γνῶθι σαυτόν, gnōthi sautón, o anche γνῶθι σεαυτόν, gnōthi seautón).
Devi guardarti dentro, se vuoi conoscerti. Ma il passo difficile, in fotografia, è che poi non devi avere paura di mostrarti.
Devi guardarti dentro, se vuoi conoscerti. Ma il passo difficile, in fotografia, è che poi non devi avere paura di mostrarti.
E, in una fotografia, significa per sempre.
Quando ho realizzato il mio primo autoritratto fotografico ho studiato molto l’argomento perché volevo dare una forma artistica, non essere ordinaria, parlare di me stessa e far riflettere l’osservatore.
Una delle maggiori ispirazioni mi è nata dalla lettura del Sonetto Autoritratto di Ugo Foscolo del 1802, in cui il poeta descrive il suo aspetto fisico in quattro versi e il suo carattere, il suo comportamento, e i suoi pregi e difetti nei successivi dieci versi.
Una delle maggiori ispirazioni mi è nata dalla lettura del Sonetto Autoritratto di Ugo Foscolo del 1802, in cui il poeta descrive il suo aspetto fisico in quattro versi e il suo carattere, il suo comportamento, e i suoi pregi e difetti nei successivi dieci versi.
La precisione nella scelta di ogni singola parola, la ricchezza con cui descrive esteriorità e interiorità, è così eccelsa che alla fine di questi quattordici versi, ti sembra di conoscerlo.
Da sempre, la capacità di sintesi di alcuni eletti mi lascia sbalordita, e ancor di più la semplicità con cui le parole arrivano dritte al punto. In fotografia voglio emulare questa semplicità.
Fotografie che siano la “sintesi”, la sottrazione di tutto il superfluo, e che rivelino solo l’essenza.
Confucio disse che “un immagine vale più di mille parole”, ma ricordiamoci che Confucio non aveva una macchina fotografica. Noi fotografi quando siamo davanti a una persona, un concetto, un paesaggio, sappiamo quanto sia difficile racchiudere in un fotogramma la natura del nostro soggetto. Quindi diventa necessario studiare, metterci in un angolo da soli a leggere, pensare; stare con noi stessi, assorti nel guardarci dentro e a nutrire lo spirito.
In solitudine, senza internet, senza telefono, senza null’altro che noi stessi. Siete capaci?